Studies in the Scriptures

Tabernacle Shadows

 The PhotoDrama of Creation

 

Studi Sulle Scritture
Serie 6 - La Nuova Creazione

 

 STUDIO 16

L’EREDITÀ PRESENTE DELLA
NUOVA CREAZIONE

LE PRIMIZIE DELLO SPIRITO—VERE SPERANZE CONTRO FALSE SPERANZE—LA NOSTRA SPERANZA—IL MALFATTORE IN PARADISO—IL DESIDERIO SINCERO DI S. PAOLO—“LA NOSTRA DIMORA TERRENA” E “LA NOSTRA DIMORA CELESTE”—LA SCENA DELLA TRASFIGURAZIONE—“IL PRIMO CHE DOVRÀ RISUSCITARE DAI MORTI”—GIOIE PRESENTI DELLA NUOVA CREAZIONE—“CHIEDETE E RICEVERETE AFFINCHÉ LA VOSTRA ALLEGREZZA SIA COMPLETA”—FEDE, UN FRUTTO DELLO SPIRITO E UNA PARTE DELL’EREDITÀ DELLA NUOVA CREAZIONE.

NON TUTTE le benedizioni della Nuova Creazione appartengono al futuro, al di là della cortina. Nella vita presente è concessa alle Nuove Creature una primizia dello Spirito, un’anticipazione della benedizione futura. Tra queste primizie si possono enumerare i vari frutti e le varie grazie dello Spirito santo: la fede, la speranza, la gioia, la pace, l’amore, ecc. Si può dare il caso che alcuni affermino che queste siano intangibili ed irreali; noi, invece, rispondiamo che esse sono reali come sono reali le Nuove Creature e proprio nella stessa proporzione in cui la Nuova Creatura cresce, aumentano questi elementi delle sue esperienze, della sua benedizione e del suo sviluppo. In verità si ammetterà che queste stesse qualità, in quanto appartengono alle cose terrene, siano le benedizioni principali dell’uomo naturale, le qualità che gli danno il grado più grande di benedizione e di privilegio. Le Nuove Creature in Cristo, avendo scambiato le speranze, i privilegi e gli amori terreni con quelli celesti, considerano questi ultimi molto più preziosi di quelli abbandonati. Gli amori terreni sono spesso incostanti, in genere egoisti. Le speranze terrene di solito sono effimere e illusorie. Le gioie terrene sono, al massimo, di breve durata e superficiali. Le ambizioni terrene raramente sono gratificate e, anche quando lo sono, hanno dell’amaro insieme al dolce. Ciononostante vediamo che tutto il [660] mondo si sforza per raggiungere queste ambizioni, queste gioie, queste speranze, questi amori e noi siamo tutti testimoni che il loro piacere principale sta nel perseguimento di essi e che, una volta conseguitone uno, giunge una certa delusione.

Non così per la Nuova Creazione. Le sue speranze, le sue gioie, i suoi amori, le sue ambizioni crescono in continuazione, alimentate dalle promesse eccezionalmente grandi e preziose della Parola divina. E non portano nessuna delusione, ma invece nei loro cuori giungono sempre più soddisfazione e la pace di Dio, che va al di là di tutta la comprensione, man mano che gli occhi della loro fede si aprono sempre di più e comprendono la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità della sapienza e dell’amore divini, della cui ricchissima benedizione essi sono eredi e coeredi attraverso il Signore Gesù Cristo.

Questa terra della promessa in cui le Nuove Creature entrano in modo figurativo al momento della loro consacrazione completa, quando ricevono lo spirito di adozione, è una terra che abbonda di latte e miele; e sebbene abbia le sue prove, le sue conquiste, le sue battaglie dentro e fuori, le sue vittorie non solo significano gioia e pace, ma sotto l’istruzione e la guida divine, anche le sue sconfitte sono trasformate in fonti di speranza, di fede e di gioia, da colui che è capace e pronto a far cooperare tutte le cose per il loro bene.

Vere speranze contro false speranze

L’Apostolo richiama la nostra attenzione sul fatto che Satana cerca di recare danno alla Nuova Creazione presentandosi ad essa come un angelo o come messaggero di luce. Quando qualcuno confessa di essere stato generato dalla luce, dalla Verità, dallo Spirito santo, l’Avversario si rende conto che stanno per sfuggire completamente alle tenebre, alla superstizione e all’inganno con cui egli ha avvolto l’umanità. Allora si trasforma ed invece di cercare ulteriormente di condurre in modo diretto alle superstizioni e alle tenebre, simula di essere un leader che conduce a maggiore luce; e sebbene specialmente vigili in questa direzione nel momento presente in cui prevale una luce più [661] radiosa, non dobbiamo dimenticarci che egli è stato energico nel seguire la stessa linea d’azione sin da quando l’Apostolo scrisse queste parole. Troviamo prove di ciò nei vari credi della Cristianità, che esprimono gli sforzi di uscire dalle tenebre, ma sono pieni di false teorie, di false speranze dal carattere seducente. Queste, mentre affermano di essere d’aiuto ai Cristiani, mentre affermano di onorare Dio, mentre affermano di spiegare la sua Parola, sono veramente delle insidie e dei tranelli per impedire una giusta concezione della Verità. Il magnifico provvedimento di amore e di misericordia di Dio, così giusto in ogni particolare, è stato contrastato dall’Avversario, non solo direttamente ma indirettamente, offrendo ai membri del popolo del Signore qualcosa che, al loro giudizio imperfetto, dapprima sarebbe potuto apparire come delle speranze e prospettive maggiori di quelle manifestate dalla Verità. La tendenza dell’errore, nondimeno, è sempre quella di allontanarsi sempre di più dalla Verità, dal piano divino, dalla semplicità del Vangelo, per arrivare alla confusione del pensiero, alla superstizione e agli intrighi preteschi.

Tra queste speranze ingannevoli c’è la speranza che, una volta che gli uomini muoiono, essi non siano morti; che, da morti, essi siano più vivi che mai. Questa speranza è presentata dall’Avversario per opporsi alla speranza, basata sulle Scritture, di una risurrezione dei morti. Una o l’altra di queste speranze deve essere falsa. L’Avversario è riuscito straordinariamente ad introdurre con l’inganno tra la “Cristianità” questa falsa speranza, che non è sostenuta dalla Parola di Dio e che è in diretto contrasto con gli insegnamenti della Parola rispetto alla risurrezione dei morti; poiché se nessuno è morto, non ci potrebbe essere nessuna “risurrezione dei morti”.

Un’altra di queste false speranze si riferisce al tempo della ricompensa per coloro che sono stati fedeli al Signore. L’Avversario in ugual modo ha avuto successo nell’ingannare la chiesa nominale facendole credere che invece di attendere una risurrezione dei morti, invece di sperare in una partecipazione alla Prima Risurrezione, quale momento per ricevere il premio, essa avrebbe dovuto sperare che i morti (non morissero, ma) entrassero nel loro premio attraverso la porta della morte, anziché attraverso la porta della risurrezione, come esposto dovunque nelle Scritture. Queste false speranze, come tutto il resto che è falso, sono dannose, per quanto possano apparire al [662] momento piacevoli. La Parola di Dio deve essere la nostra guida ed essa ci insegna che le nostre speranze riguardo alla benedizione futura, alla gioia futura, ecc. riposano tutte nella risurrezione dei morti.

Le false aspettative del passato secondo cui il momento della morte sarebbe il momento della gloria celeste (contrariamente non solo a tutti i fatti e a tutte le circostanze evidenti alla mente umana, ma opposti ad una gran quantità di testimonianze Scritturistiche riguardo alla risurrezione, che per il suo compimento è in attesa della seconda venuta di nostro Signore) sono state molto dannose per il popolo del Signore, in quanto esso è stato distolto dalla Sua Parola e dalle vere speranze che essa inculca e che sono in pieno accordo con il più sano ragionamento e con tutti i fatti come li vediamo attorno a noi.

Si può suggerire che questa speranza di un cambiamento istantaneo alla condizione celeste nel momento della morte, è per gli ultimi membri della Nuova Creazione proprio quella speranza sostenuta in quest’opera. Questo è vero, ma c’è una ragione per cui sosteniamo una tale speranza nel tempo presente che non si poteva addurre prima del 1878, data alla quale affermiamo che risalga questo ampliamento della speranza del popolo del Signore. Questa espansione delle speranze della Nuova Creazione in questa stagione della mietitura è in pieno accordo con le Scritture. Il nostro pensiero non è che tutti gli uomini, neanche i membri della Nuova Creazione per tutta la durata dell’età, siano stati cambiati nel momento della loro morte; ma, seguendo le Scritture secondo cui essi si sono addormentati in Gesù, crediamo anche con la stessa autorità che la loro speranza è nel risveglio che Dio ha promesso avverrà per loro nel nuovo giorno, il giorno Millenaristico. La nostra speranza, basata sulla testimonianza della Parola divina, è che noi siamo già all’alba di questo nuovo giorno; che l’Emanuele è già presente, a stabilire il suo Regno; che la prima parte consiste nel fare i conti con i suoi servitori, come egli ha indicato in modo particolare nelle sue parabole che illustrano l’opera che deve essere compiuta al suo ritorno per assumere il Regno della terra. Le parabole dichiarano che egli chiamerà i suoi servitori, ai quali ha affidato i denari e i [663] talenti, e che farà i conti con essi prima di cominciare a fare i conti con il mondo. Luca 19:15; Mat. 25:14

Quest’opera comincia con la casa di Dio, la Chiesa, la Nuova Creazione; e, come già indicato,* il 1878 D.C. ha segnato la data in cui i “morti in Cristo” dovevano risorgere “per primi”. È in piena armonia con le Scritture, perciò, credere che gli apostoli e i santi fedeli di tutta l’età, fino ai nostri giorni, siano già glorificati, che siano già in possesso dei corpi spirituali gloriosi promessi loro, perché “cambiati” e resi come il Maestro stesso e, quindi, esseri spirituali, nascosti alla vista umana, al di là della cortina. È in pieno accordo con questa speranza basata sulle Scritture che noi insegniamo che ciascun membro della Nuova Creazione ancora nella carne non avrà bisogno, ora, di “dormire” e di attendere il tempo e lo stabilirsi del Regno, perché il Re e il Regno sono già qui, l’opera apportatrice di vita del nuovo ordinamento è già iniziata, la porzione maggiore della Nuova Creazione eletta è già stata glorificata e i membri viventi stanno semplicemente ricevendo il completamento del loro perfezionamento, della prova della loro idoneità e del loro esame che li prepara a sperimentare la loro partecipazione nella Prima Risurrezione, ad essere “rapiti” o “trasformati” in un momento, in un batter d’occhio; a ricevere, nel momento della morte della carne, il conferimento di una nuova casa, il corpo spirituale. II Cor. 5:1; I Tess. 4:17

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*Vol. II, Cap. vii.
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Nel considerare questo tema, tuttavia, dobbiamo avere dinnanzi alle nostre menti non solo queste speranze speciali di questo periodo della “mietitura”, ma anche in modo inclusivo quelle che sono state le speranze di tutti i fratelli, di tutti i membri della Nuova Creazione, le speranze presentateci nel Vangelo. Che la Parola ispirata dichiari queste speranze e, poi, che non ci procuri preoccupazione il fatto che esse siano molto diverse da quelle generalmente nutrite dal cosiddetto mondo Cristiano. Vero, il “Mondo Cristiano”, nei suoi credi, presenta una fede nella seconda venuta di Cristo e nella Risurrezione dei [664] morti, ma queste sono puramente delle espressioni verbali con cui cerca di mantenere qualche rapporto con le Scritture. Queste non sono le speranze del Mondo Cristiano, della chiesa nominale; esse sono, piuttosto, i suoi terrori. Costoro hanno il terrore della seconda venuta di Cristo invece di sperare che venga; e hanno il terrore della risurrezione dei morti invece di sperare che ci sia; poiché essi sono stati indotti in errore dal grande Avversario in un malinteso del carattere e del piano divini e generalmente credono che la seconda venuta di Cristo significhi la fine della speranza, la fine del periodo di prova, la fine della misericordia; invece di capirla come le Scritture indicano, come il vero inizio della grande benedizione di tutte le famiglie della terra, che Dio molto tempo fa promise e che è andato preparando per quattromila anni.

Anche la Risurrezione è guardata con terrore perché i falsi insegnamenti hanno portato alla supposizione che lo spirito, o il soffio della vita, ha una coscienza senza corpo e che il corpo è una sorta di prigione da cui gli spiriti sono felici di essere liberati: un ritorno in esso sarebbe essenzialmente visto come una punizione. In tal modo le tradizioni degli uomini hanno reso vana la Parola di Dio, sotto l’influenza del grande Avversario, il dio di questo mondo, che ora acceca così tanti. Ma guardiamo alla testimonianza delle Scritture su questo tema e vediamo quanto essa sia rivolta chiaramente ed esplicitamente in ogni esempio alla seconda venuta di Cristo e alla risurrezione quale, in primo luogo, la speranza della Chiesa, della Nuova Creazione, e in secondo luogo, quale la speranza del mondo.

“Cingete i fianchi della vostra mente, state sobri, e abbiate piena speranza nella grazia che vi sarà recata nella rivelazione di Gesù Cristo.” I Piet. 1:13R.V.

“Anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi stessi gemiamo in noi medesimi, aspettando l’adozione, vale a dire, la redenzione [liberazione] del nostro corpo [la Chiesa, il corpo di Cristo]. Poiché noi siamo stati salvati in speranza [non ancora effettivamente salvati, ma semplicemente in un senso precursore].” Rom. 8:23, 24R.V.

“Benedetto sia l’Iddio e Padre del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che secondo la sua gran misericordia ci ha fatti rinascere, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, ad una speranza di vita, ad un’eredità incorruttibile, immacolata ed immarcescibile, conservata[665] nei cieli per voi, che, dalla potenza di Dio, mediante la fede siete custoditi per la salvazione che sta per essere rivelata negli ultimi tempi. Nel che [nella quale speranza] voi esultate grandemente, sebbene ora, per un po’ di tempo, se così bisogna, siate afflitti da svariate prove: affinché la prova della vostra fede, molto più preziosa dell’oro che perisce, eppure è provato col fuoco, risulti a vostra lode, gloria ed onore alla rivelazione di Gesù Cristo.” I Piet. 1:3-7

“Mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto Giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione.” II Tim. 4:8

“Non mi vergogno, perché so in chi ho creduto e son persuaso ch’egli è potente da custodire il mio deposito fino a quel giorno.” II Tim. 1:12R.V.

“Dovremmo vivere temperatamente, giustamente e piamente, in questo mondo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Iddio e Salvatore, Cristo Gesù, il quale ha dato se stesso per noi.” Tito 2:12-14

“Questo io [Paolo] confesso a te [Felice], che secondo la via ch’essi chiamano setta, io adoro l’Iddio dei padri, credendo tutte le cose che sono scritte nella Legge e nei profeti, avendo in Dio la speranza, che nutrono anche costoro, che ci sarà una risurrezione dei morti.” Atti 24:14,15

“Voi moriste e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria.” Col. 3:3, 4

“È a motivo della speranza della risurrezione dei morti che in questo giorno son chiamato in giudizio.” Atti 23:6

“Gesù le disse: ‘Io son la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque [allora] vive e crede in me, non morrà mai.” Giovanni 11:25, 26R.V.

“L’ora viene in cui tutti quelli che son nei sepolcri udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato bene in risurrezione di vita [la Prima Risurrezione]; e quelli che hanno operato male [la cui condotta nella vita presente non passerà l’approvazione divina come degna della vita eterna] in risurrezione di giudizio [la risurrezione graduale sotto discipline e premi durante l’età Millenaristica].”* Giovanni 5:28, 29R.V.

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*Vedere Cap. xvii.
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“Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, ve l’avrei detto; io vado a prepararvi un luogo. E quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove son io, siate anche voi.” Giovanni 14:2,3

“Il Figliuolo dell’Uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, ed allora renderà a ciascuno secondo l’opera sua.” Mat. 16:27

“Ecco, io vengo tosto e il mio premio è con me.” Apoc. 22:12

“Ecco, la tua salvezza giunge; ecco, egli ha con sé il suo salario.” Is. 62:11

[666] “Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla presenza [parusia] del Signore; …rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.” Giacomo 5:7, 8

“Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: ‘Siate forti, non temete; ecco il vostro Dio verrà con la vendetta, con la retribuzione di Dio; verrà a salvarvi.’ Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi, …perché delle acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nella solitudine.” Is. 35:4-6

“In quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; tutti quelli, cioè, che saran trovati iscritti nel libro [della vita], e molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, gli uni per la vita eterna [la Prima Risurrezione], gli altri per l’obbrobrio e per una eterna infamia [disonore, dal quale, tuttavia, possono riprendersi mediante i processi di restaurazione allora avviati]; e i savi [il piccolo gregge, le vergini avvedute] risplenderanno come lo splendore della distesa [come il sole – Mat. 13:43], e quelli che ne avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle [corpi celesti] in sempiterno…Ma tu avviati verso la fine [fino a che venga la “stagione della mietitura” oppure la fine dell’età]: poiché tu ti riposerai e poi sorgerai per ricevere la tua parte d’eredità alla fine dei giorni.” Dan. 12:1-3, 13. Vol. III, p. 83

“Un libro è stato scritto davanti a lui [Geova], per conservare il ricordo di quelli che temono l’Eterno; che rispettano il suo nome; ed essi saranno miei, dice l’Eterno degli eserciti, in quel giorno quando preparerò la mia proprietà particolare.” Mal. 3:16, 17

Teorie distorte e invenzioni fantasiose vengono principalmente da filosofi umani, che non hanno avuto la guida della lampada della Parola divina e che hanno così indotto in errore i giudizi di molti dei cari santi del Signore che quanto detto sopra e molte altre dichiarazioni esplicite riguardo alle vere speranze del popolo del Signore sono confutate e private della loro forza, bellezza e potenza da altri passi scritturistici più o meno illustrativi, i quali sono travisati rispetto a quello che essi esprimono nella loro giusta posizione e nel loro giusto significato da renderli antagonistici nei confronti di queste semplici affermazioni. Dobbiamo esaminarle per chiarificare la via della fede, della speranza e dell’obbedienza e per renderla chiara agli occhi della nostra comprensione. Poi, procederemo a notare varie altre benedizioni che si aggiungono alle nostre speranze, che ci appartengono nella vita presente, come parte delle primizie della nostra eredità.

Il malfattore in Paradiso

“Diceva a Gesù: ‘Ricordati di me quando sarai venuto nel tuo Regno.’ Ed egli [Gesù] disse a lui [il malfattore penitente]: ‘Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in Paradiso.’” Luca 23:42, 43

[667] Coloro che considerano la salvezza come una via per sfuggire alla tortura eterna in un paradiso di piacere e la vedono soltanto dipendere da circostanze accidentali di favore, pensano di vedere esemplificate in questa narrativa la dottrina dell’elezione; secondo essa nostro Signore Gesù, compiaciuto delle parole consolatrici di quel malfattore, lo scelse per il cielo ed, in ugual modo, scelse che l’altro dovesse soffrire per tutta l’eternità, senza commiserazione e senza soccorso. Vero, se Dio avesse fatto la salvezza come fosse una lotteria, come una cosa fortuita, coloro che credono che sia così dovrebbero avere poco da dire contro le lotterie della Chiesa e ancor meno contro quelle del mondo.

Ma questo non è il caso. Questo passo scritturistico è stato frainteso parecchio. Per capirne il vero significato, esaminiamo dove si trova inserito e le connessioni che ha.

Il Signore era appena stato condannato e stava per essere giustiziato con l’accusa di tradimento contro il governo di Cesare per il fatto di aver detto che era re, sebbene avesse detto loro che il suo Regno “non era di questo mondo”. Lì, sulla croce, sopra la sua testa, scritto in tre lingue, si trovava il delitto di cui era stato accusato: “QUESTO È IL RE DEI GIUDEI.” Quelli che erano lì intorno sapevano delle sue affermazioni e lo deridevano, eccetto uno dei malfattori crocifissi accanto. Senza dubbio egli aveva sentito di Gesù e del suo meraviglioso carattere e delle sue meravigliose opere e disse in cuor suo: Questo è veramente un uomo strano e meraviglioso. Chi è in grado di sapere se c’è una base per queste sue affermazioni? Certamente vive vicino a Dio. Gli parlerò per spirito di compassione: non può far nessun male. Poi rimproverò il suo compagno, riferendosi all’innocenza del Signore; e in seguito a questo ebbe luogo la conversazione di cui sopra.

Non si può supporre che questo malfattore avesse delle idee corrette o definite su Gesù; non aveva niente di più che una pura sensazione che, stando lì per morire, ogni filo di speranza sarebbe stato meglio di niente. Attribuirgli di più sarebbe situarlo nella fede davanti a tutti gli apostoli e seguaci del Signore che in quel momento erano fuggiti sgomentati e che, tre giorni dopo, dissero: “Noi [avevamo] sperato che fosse lui che avrebbe riscattato Israele.” Luca 24:21

[668] Non si possono avere dubbi sul significato di questa preghiera. Egli aveva voluto dire che, una volta che Gesù avesse raggiunto il potere del suo Regno, egli avrebbe desiderato trovare favore, avrebbe desiderato che ci si prendesse cura di lui. Adesso, notate la risposta di nostro Signore. Egli non dice che non ha nessun regno; ma, anzi, con la risposta che dà, indica che la richiesta del malfattore era stata una richiesta appropriata. La parola tradotta “in verità” oppure “invero” è la parola greca “amen” e significa “Così sia” oppure “La tua richiesta è concessa”. “Io ti dico che oggi [questo giorno buio, quando sembra come se io fossi un impostore e quando sto morendo come un criminale], tu sarai con me in Paradiso.” La sostanza di questa promessa sta nel fatto che, quando il Signore avrà stabilito il suo Regno, esso sarà un Paradiso e il malfattore sarà ricordato e si troverà in esso. Notate che abbiamo cambiato la virgola da prima a dopo la parola “oggi”.

Ciò rende le parole del Signore perfettamente chiare e logiche. Se l’avesse voluto, egli avrebbe potuto dire di più al malfattore. Gli avrebbe potuto dire che il motivo per cui era privilegiato di essere in Paradiso era perché il suo riscatto si stava pagando proprio lì in quel momento. Gli avrebbe potuto dire inoltre che egli stava morendo per riscattare anche l’altro malfattore, come pure l’intera moltitudine davanti a lui che lo stava guardando a bocca aperta e lo stava deridendo, i milioni allora sepolti e i milioni non ancora nati. Noi siamo a conoscenza di ciò perché sappiamo che “Gesù Cristo, per la grazia di Dio, ha gustato la morte per ogni uomo”, “ha dato se stesso come riscatto per tutti”, affinché a suo tempo tutti possano avere l’opportunità di tornare alla condizione dell’Eden, persa in seguito al peccato del primo uomo e redenta per gli uomini dal sacrificio giusto di Cristo. Ebr. 2:9; I Tim. 2:5, 6; Atti 3:19

Come già mostrato, il giardino dell’Eden fu solo un’illustrazione di quello che la terra sarà quando sarà liberata dalla maledizione, quando sarà perfezionata e imbellita. La parola “paradiso” è di origine araba e significa un giardino. La Bibbia dei settanta rende Gen. 2:8 in questo modo: “Dio piantò un paradiso nell’Eden.” Quando Cristo avrà stabilito il suo Regno e avrà incatenato il male, ecc., questa terra pian piano diventerà un paradiso e i due malfattori e tutti gli altri che sono nelle tombe vi entreranno; poi, diventando obbedienti alle sue leggi, vi potranno vivere e potranno goderlo per sempre.

Nelle Scritture il Paradiso è usato per descrivere il primordiale stato di felicità dell’uomo, in armonia con il suo Creatore, prima che la maledizione e la sventura del peccato entrassero nel mondo. Si promette che questo Paradiso perduto per l’umanità verrà restaurato; e in modo più o meno vago la creazione intera è stata, ed è, in attesa e con la speranza che si inauguri così l’Età d’Oro. Le Scritture ci presentano il pensiero secondo cui lo stato di Paradiso è stato redento per l’uomo dalla morte di nostro Signore Gesù e secondo cui, di conseguenza, una parte della sua gloriosa opera di restaurazione sarà di restaurare il Paradiso (“ciò che era perito”), la proprietà acquistata. Mat. 18:11; Efes. 1:14; Apoc. 2:7

Ma abbiamo il diritto di alterare la posizione della virgola? Certamente: la punteggiatura della Bibbia non è ispirata. Gli scrittori della Bibbia non usarono nessuna punteggiatura. Essa fu inventata quattrocento anni fa. È semplicemente una comodità moderna e dovrebbe essere usata per mettere in evidenza il senso, in armonia con tutti gli altri passi scritturistici.

Sono piuttosto frequenti casi di un uso simile della parola “oggi” nella letteratura moderna; e nelle Scritture richiamiamo l’attenzione su quanto segue:

“Perciò io ti do oggi questo comandamento.” Deut. 15:15

“Ho posto davanti a te oggi la vita e il bene, la morte e il male.” Deut. 30:15

“Io ti comando oggi d’amare l’Eterno, il tuo Dio.” Deut. 30:16

“Piacesse a Dio che per poco o per molto, non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi m’ascoltano, diventaste tali, quale sono io, all’infuori di questi legami.” Atti 26:29

Non solo il senso di questo passo richiede la punteggiatura suggerita, ma la sua armonia con il resto degli altri passi scritturistici lo richiede ugualmente e non ci può essere nessuna obiezione logica o valida che si possa opporre. Supporre che nostro Signore sia andato in Paradiso immediatamente, sarebbe supporre l’impossibile, poiché il [670] Paradiso non è ancora stato ristabilito. Per di più, è chiaramente dichiarato che il corpo di nostro Signore fu sepolto nella tomba di Giuseppe e che, nel frattempo, la sua anima, o il suo essere, andò nello sheol, nell’ade, nell’oblio e che egli era morto, e non vivo in Paradiso o in qualche altro posto. Le Scritture ci assicurano chiaramente, non che il Signore scese dal cielo, o dal Paradiso, alla sua risurrezione, ma che “risuscitò dai morti, il terzo giorno, secondo le Scritture.” (I Cor. 15:4) Le parole stesse di nostro Signore, dopo la sua risurrezione, furono: “Così è scritto, che il Cristo soffrirebbe e risusciterebbe dai morti il terzo giorno.” (Luca 24:46) Ed ancora disse a Maria: “Non sono ancora salito al Padre: ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Io salgo al Padre mio e Padre vostro, all’Iddio mio e Iddio vostro.’” Giovanni 20:17

Il desiderio sincero di S. Paolo

“Poiché per me il vivere è [vivere] per Cristo, e il morire, guadagno. Ma se il continuare a vivere nella carne rechi frutto all’opera mia e quel ch’io debba preferire, non saprei dire esattamente. Io sono stretto dai due lati [Io ho un desiderio sincero di ritornare e di essere con Cristo, perché è cosa di gran lunga da preferire]; ma il mio rimanere nella carne è più necessario per voi.” Fil. 1:21-24, traduzione Diaglott

Si osserverà che la differenza principale tra quanto sopra e la versione inglese comune di questo passo è la sostituzione della parola “ritorno” al posto della parola “partenza”. Nella giustificazione dell’uso della parola “ritorno”, il traduttore dice in una nota a piè di pagina:

“ ‘To analusai’, il rilasciare di nuovo oppure il ritornare, essendo ciò che Paolo desiderava sinceramente, non potevano essere la morte o la decomposizione, come sottinteso dalla parola partenza nella versione comune; poiché sembrava una cosa indifferente per lui quale delle due (vita o morte) scegliere; ma egli agognava l’‘analusai’, che era una terza cosa e di gran lunga da essere preferita ad una delle due cose a cui si è alluso. La parola ‘analusai’ appare in Luca 12:36 ed è resa lì come ritorno: “Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone, quando tornerà”, ecc. Gesù aveva [671] insegnato ai suoi discepoli che sarebbe venuto di nuovo, o tornato (Giovanni 14:3, 18); così anche gli angeli dissero loro alla sua ascensione. (Atti 1:11) Paolo credette in questa dottrina, la insegnò agli altri, aspettò e restò in attesa del ritorno (analusai) del Salvatore dai cieli (Fil. 3:20; I Tess. 1:10; 4:16, 17) quando sarebbe potuto ‘essere per sempre con il Signore.’”

Un esame della parola greca analusai mostra che essa è usata nella letteratura greca da Platone in entrambi i modi, sia a volte con il significato di partenza, che a volte con il significato di ritorno; ma questa parola ricorre soltanto due volte nel Nuovo Testamento, qui e in Luca 12:36. In quest’ultima volta, come affermato sopra, è resa come “ritorno” e chiaramente non potrebbe essere resa diversamente e mantenere il senso. Nel caso che stiamo discutendo (Fil. 1:23), crediamo che dovrebbe essere resa come ritorno per la semplice ragione che, anche quando viene usata con il significato di partenza, deve contenere l’idea di nuova partenza, di partire verso un luogo dove uno è già stato in precedenza. Il prefisso greco ana, nella parola ana-lusai, significa di nuovo come il nostro prefisso ri, in ri-torno, significa di nuovo. Quindi, se si rende come partenza, saremmo costretti ad aggiungere l’idea di ri-partenza o di partire di nuovo. E ciò rovinerebbe la cosa come riportato da S. Paolo; poiché non era mai stato con Cristo nella gloria e, quindi, non poteva “partire di nuovo” per essere lì con Cristo. Ma quando traduciamo analusairi-tornando” e l’applichiamo a nostro Signore, sembra che ogni difficoltà scompaia.

Notiamo le circostanze che hanno dato origine a quest’espressione. L’Apostolo era stato per un po’ di tempo prigioniero a Roma e, mentre a volte era stato trattato bene da alcuni Imperatori, per qualche capriccio era costantemente passibile della pena di morte. Egli scrisse l’Epistola in riconoscimento di un dono considerevole offerto dalla Chiesa di Filippi e colse l’opportunità di dir loro in dettaglio della propria condizione, del progresso dell’opera del Signore, ecc. e di incoraggiarli ad essere risoluti fino alla fine.

Dato che essi volevano sapere quali erano le prospettive di un suo rilascio, egli dice loro che i nemici (vista la sua libertà per due anni−Atti 28:30) stavano spiegando il [672] Cristianesimo con la speranza che da ciò si venisse ad aggiungere afflizione, e forse anche la morte, alle sue catene. (Fil. 1:16-19) Ma egli si rese conto delle preghiere della Chiesa a suo favore e si aspettava che il suo processo davanti a Nerone avrebbe avuto come risultato la sua liberazione, o mediante l’assoluzione o mediante la morte. Poi dice loro che, in quanto alle sue preferenze personali, gli sarebbe difficile scegliere tra la vita (con le sue sofferenze) e la morte (con il riposo che porta dal lavoro faticoso); ma mentre non aveva nessuna scelta tra queste due cose possibili, aveva una brama, un desiderio intenso, per una cosa che egli sapeva bene essere impossibile, una cosa che egli sapeva, e che aveva insegnato alla Chiesa, essere molto lontana (II Tess. 2:1-8): il ritorno di Cristo e l’essere con lui. Allora, lasciando da parte l’impossibile e ritornando alle possibilità, assicura a loro che egli è convinto che Dio ha ancora un compito da affidargli per la Chiesa e che sarebbe stato liberato. E sebbene le Scritture non ne parlino, la tradizione dichiara che egli fu assolto da Nerone ed ebbe circa cinque anni di libertà e di servizio prima di essere arrestato nuovamente e giustiziato.

È degno di nota qui il fatto che altre parole sono usate ripetutamente negli scritti sia di Paolo sia di Luca quando è chiaro che il significato è partenza. E si dovrebbe ricordare che Luca fu l’amanuense dell’Apostolo che viaggiò molto con lui e che si abituò ad usare le parole nello stesso senso.

Ma se ancora qualcuno si batte per la parola “partenza”, piuttosto che “ritorno”, proponiamo quanto segue:

Non c’è dubbio che Paolo avrebbe desiderato, specie in vista del fatto che sapeva che la seconda venuta del Signore non si sarebbe potuta verificare entro breve tempo, di poter partire per il cielo o per qualunque altro posto per andare a stare subito con il Signore. Ma sapeva che in armonia con il piano divino non poteva essere concesso un tale desiderio; e quindi, sebbene fosse stato il suo desiderio sincero, questo non entrò in considerazione come una delle cose possibili. Continuò a restare ancora in una strettoia in quanto all’indecisione su quali delle due cose possibili fosse la sua preferenza: vivere e servire la Chiesa nella sofferenza, oppure morire e riposare dai duri lavori, in attesa “di quella beata speranza e dell’apparizione della gloria del grande Iddio [nostro Signore e [673] Salvatore Gesù Cristo]” “il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria.” Tito 2:13; Fil. 3:21

“La nostra dimora terrena” e “La nostra dimora celeste”
−II Cor. 5:1-10−

L’Apostolo sta scrivendo alla Nuova Creazione riguardo alla loro condizione, non incluso l’uomo naturale. Egli riconosce la nuova volontà come la Nuova Creatura e il corpo vecchio come il suo “tabernacolo”, o tenda, che è molto meglio di niente, sebbene sia molto insoddisfacente. La Nuova Creatura non può sentirsi perfettamente a casa in esso, ma brama sinceramente il corpo perfetto, che esso sia suo alla risurrezione: la sua abitazione permanente, oppure condividere la “casa” che nostro Signore ha promesso di preparare per la Nuova Creazione. (Giovanni 14:2) “Sappiamo che se la nostra dimora terrena di questa residenza temporanea viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio permanente, una dimora non fatta da mano d’uomo [non prodotta da poteri umani], eterna, celeste.”

È vero che in questo corpo presente, o in questa dimora temporanea del pellegrinaggio, noi gemiamo, oppressi non solo dall’influenza maligna del mondo e dal diavolo da tutte le parti, ma anche e in special modo dalle debolezze della nostra propria carne. Poiché quando facciamo il bene, il male è presente presso di noi, così che il bene che stiamo per fare spesso ci viene impedito di farlo, mentre il male che non approviamo spesso s’impone a noi e richiede che vi si resisti continuamente e che sia vinto. Come dichiara in un altro posto l’Apostolo, noi “che abbiamo le primizie dello Spirito, persino noi stessi gemiamo dentro di noi, in attesa dell’adozione, vale a dire, della liberazione del nostro corpo”, la Chiesa, nell’immagine gloriosa di nostro Signore.

Ma il nostro gemere non è unito al desiderio di essere denudati. Noi non desideriamo essere senza un corpo, poiché in tutta l’età del Vangelo ciò al massimo vorrebbe dire essere “addormentati”, in attesa della mattina della risurrezione quando [674] saremo “sopravvestiti della nostra dimora che è celeste”, del nostro nuovo corpo, perfetto e permanente, della nostra “abitazione”. Ciò che preferiamo è non aver la piccola scintilla della vita presente spenta, ma averla inghiottita, assorbita nelle condizioni perfette della vita perfetta alla quale siamo generati. Bramiamo la nascita della risurrezione, con il suo corpo perfetto.

“Ora colui che ci ha formati per questo stesso è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito.” Questa condizione perfetta, che dovremmo ottenere nella risurrezione, sarà la grande consumazione della nostra salvezza, che Dio ha promesso; e la mente nuova, la volontà nuova generata dalla Parola di verità, è considerata come l’inizio di quella Nuova Creatura, che sarà resa perfetta nella natura divina quando la prima risurrezione l’avrà completata. Lo Spirito santo concessoci nel tempo presente è un pagamento anticipato, per così dire, una “caparra” o una garanzia dei risultati importanti e benigni per i quali stiamo sperando e lottando, stiamo gemendo e pregando.

“Noi siamo dunque sempre pieni di fiducia e sappiamo che, mentre abitiamo nel corpo [per tutto il tempo in cui ci sentiamo interamente soddisfatti delle condizioni presenti, di noi stessi e di ciò che ci circonda], siamo assenti dal Signore.” Se vivessimo vicino a lui, “camminando con Dio”, non ci sentiremmo perfettamente soddisfatti dei risultati presenti ottenuti, delle condizioni presenti, ecc; ma ci sentiremmo come pellegrini ed estranei, in cerca di un riposo migliore, di un’abitazione migliore, “che Dio ha in serbo per coloro che lo amano”. Ma questo, come spiega l’Apostolo è vero solo per coloro che camminano per fede e non per visione.

Ma siamo fiduciosi [pieni di fede verso Dio, siamo lieti di camminare per fede] e abbiamo molto più caro di partire dall’abitazione [senzatetto, pellegrini ed estranei sulla terra] ed essere nell’abitazione con il Signore” nello spirito della nostra comunione.

Per questo motivo stiamo lottando perché o che sia domani quando raggiungeremo la nostra abitazione, o che sia nel tempo presente quando siamo effettivamente lontani dall’abitazione, pellegrini ed estranei, noi lottiamo per poter essere accettabili presso il Signore; affinché abbiamo il suo favore e la sua benedizione, affinché [675] ci rendiamo conto della sua comunione e della sua presenza e affinché veniamo a sapere che alla fine saremo accettati da lui.

“Poiché dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quand’era nel corpo, secondo quel che avrà operato, o bene, o male.” Attraverso tutto questo pellegrinaggio siamo alla sbarra del giudizio di nostro Signore: egli ci sta sottoponendo all’esame, ci sta mettendo alla prova per vedere se amiamo lui e le cose che facciamo per la giustizia e per la pace oppure no; e se sì, quanto siamo pronti a sacrificare per amore della giustizia. Definisce il grado del nostro amore misurando le nostre abnegazioni e i sacrifici di noi stessi per amore suo, per amore della Verità.

Ma parlare in tal modo dei nostri corpi come dimore, può essere vero solo dei “santi”, delle “Nuove Creature” in Cristo. Il resto dell’umanità non ha dualità di natura e non potrebbe applicare a se stesso tali espressioni quali quelle contenute in Romani 8:10, 11: “Se Cristo è in voi il corpo è [considerato] morto a cagion del peccato; ma lo spirito è vivo a cagione della [reputata] giustizia” di Cristo. La natura nuova dei santi, generata dalla Parola di verità, è realmente solo la volontà nuova, alla quale, tuttavia, da allora in poi ci si rivolge come per rivolgersi alla persona effettiva e la quale soltanto è riconosciuta da Dio, che ci conosce non secondo la carne ma secondo lo spirito delle nostre menti nuove: le menti a somiglianza della mente di Cristo. Notare anche Romani 6:3, 4. Queste “Nuove Creature” hanno un uomo vecchio, o un uomo esteriore, che sta per perire, e un uomo nuovo, un uomo interiore, o un uomo nascosto del cuore, che si sta rinnovando giorno per giorno. II Cor. 4:16; Col. 3:9, 10; Efes. 4:23, 24; I Piet. 3:4

La scena della Trasfigurazione

I discepoli non immaginavano affatto che la dichiarazione di nostro Signore, secondo cui alcuni di loro non avrebbero gustato la morte finché non avessero visto il Figlio dell’Uomo entrare nel suo Regno, si sarebbe realizzata entro sei giorni per Pietro, Giacomo e Giovanni sul Monte della Trasfigurazione. Eppure fu così; ed evidentemente produsse un effetto grande e deliberato sulle persone che ne furono testimoni, uno dei quali, scrivendo a proposito, dice (II Piet. 1:16-18): “Non è coll’andar dietro a favole [676] artificiosamente composte, che vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà. Poiché egli ricevette da Dio Padre onore e gloria quando giunse a lui quella voce dalla magnifica gloria: Questo è il mio diletto, nel quale mi son compiaciuto. E noi stessi udimmo quella voce che veniva dal cielo, quand’eravamo con lui sul monte santo.”

La scena della trasfigurazione non fu tutto ciò che apparve. Fu una “visione”, come spiegò il Signore ai discepoli quando scesero dalla montagna. In questa visione, come in tutte le visioni, ciò che è irreale appare reale. Proprio come accadde per la visione di Giovanni, nell’Isola di Patmo, descritta nel libro dell’Apocalisse. Vide, udì, parlò; eppure le cose che gli apparvero nella visione non erano realtà, non erano animali dalle tante teste e dalle molteplici corna, angeli, coppe e troni, né veri draghi, ecc., ma puramente una visione. E una visione era in ogni senso della parola buona e veramente più adatta allo scopo di quanto non sarebbero state le realtà.

“Il primo che dovrà risuscitare dai morti”

Mosè ed Elia non furono presenti sulla montagna, di persona, ma furono semplicemente raffigurati nella visione per i discepoli. Sappiamo questo non solo attraverso l’affermazione di nostro Signore, cioè che fu una “visione”, ma anche dalla sua affermazione quando disse che nessun uomo era salito al cielo. (Giovanni 3:13; Atti 2:34) Noi sappiamo anche che Mosè ed Elia non sarebbero potuti essere lì, visto che non erano risuscitati dai morti; poiché nostro Signore Gesù stesso fu la “Primizia di quelli che dormono”, “Il primogenito dai morti, onde in ogni cosa abbia il primato.” I Cor. 15:20; Col. 1:18

Inoltre l’Apostolo parla chiaramente agli Ebrei di Mosè e dei profeti (e ciò include Elia) e la loro fedeltà in passato, il loro essere stati accettati da Dio; ma indica che essi non avevano ancora ricevuto la loro ricompensa e non la riceveranno fino a che noi (la Chiesa del Vangelo) non avremo ricevuto la nostra ricompensa quali coeredi con [677] Cristo nel suo Regno. “Tutti costoro, pur avendo avuta buona testimonianza per la loro fede, non ottennero quello che [le benedizioni di ciò che] era stato promesso; perché Iddio aveva in vista per noi qualcosa di meglio, ond’essi non giungessero alla perfezione senza di noi.” Ebr. 11:39, 40

Dato, poi, che l’apparizione di Mosè e di Elia insieme a nostro Signore fu semplicemente un’apparizione, ci chiediamo giustamente “quale fu il significato o il senso di questa visione?”. Rispondiamo: “Fu un’immagine che stava ad indicare il Regno glorioso di Cristo, come nostro Signore aveva predetto e come Pietro l’aveva capita ed espressa. In quest’immagine, i tre discepoli non costituirono nessuna parte. Essi furono puramente dei testimoni. Cristo fu la figura centrale; il suo aspetto e le sue vesti, splendenti di lustro miracoloso, rappresentavano in simbolo le glorie che appartengono alla natura dello spirito, che nostro Signore ricevette alla sua risurrezione: “l’immagine esplicita della persona del Padre”. È questa stessa gloria dello spirito che è rappresentata nelle visioni dell’Apocalisse, dove nostro Signore è rappresentato con gli occhi come fossero una fiamma di fuoco e i piedi luminosi come fossero rame arroventato, ecc. (Apoc. 1:14, 15; 2:18) Alla sua seconda venuta nostro Signore non sarà più carne, perché, come egli ha attestato: “carne e sangue non possono ereditare il Regno di Dio”. Ora, egli è, e sarà sempre, uno spirito glorioso dell’ordine più elevato: la natura divina; e la trasfigurazione fu ideata al fine di offrire alle menti dei suoi discepoli una pallida concezione della gloria che eccelle.

Mosè rappresentò i fedeli vincitori che precedettero nostro Signore, descritti dall’Apostolo (Ebr. 11:39, 40), che non possono essere resi perfetti finché non si sarà stabilito il Regno. Elia rappresentò i vincitori dell’età del Vangelo. Vedere Vol. II, Cap. viii.

Gioie presenti della Nuova Creazione

“Queste cose vi ho detto affinché la mia allegrezza dimori in voi e la vostra allegrezza sia resa completa.” Giovanni 15:11

Tutti coloro che da un punto di vista esterno alla “casa dei figli”, tutti coloro che non hanno consacrato se stessi e che pertanto non sono diventati membri della Nuova [678] Creazione, del Sacerdozio Regale, vedendo che i membri del corpo di Cristo, come il loro Signore, hanno fatto una consacrazione piena di se stessi e di tutti gli interessi terreni al Signore e alla sua causa, è probabile che pensino che in questo sacrificio ogni gioia sia perduta. Ma ogni membro della Nuova Creazione sa che è il contrario e può essere testimone del fatto che questo è un grande sbaglio, che sebbene alcune gioie terrene, una volta ritenute molto care, siano sacrificate una ad una, al loro posto giungono gioie celesti che ricompensano molto di più di quanto è stato perduto. Come nostro Signore disse ancora: “Voi sarete contristati, ma la vostra tristezza sarà mutata in letizia.” (Giovanni 16:20) La Nuova Creazione deve tutta gustare il calice amaro che il Signore vuotò fino alla feccia; essi debbono tutti simpatizzare con le infermità della carne; essi debbono tutti rendersi conto chiaramente della peccaminosità e dell’amarezza eccezionali del peccato; debbono tutti essere messi alla prova sulla loro lealtà al Padre celeste e alla loro prontezza a sacrificare ogni cosa terrena come richiesto dagli interessi della sua causa e dalla fedeltà al giusto. Ma le benedizioni giungono attraverso tutte queste lacrime, tutti questi dolori e dispiaceri; le benedizioni di un’attuazione del consenso divino, una gioia superiore a quella dell’uomo naturale, le gioie del Signore, la fraternità e la comunione con il Padre.

Non ci potrebbero essere tali gioie se non fosse per le nostre benedette speranze. Se le nostre gioie dipendessero semplicemente dalle circostanze di questa vita, saremmo senza gioia; e, come ha dichiarato l’Apostolo, saremmo “i più miserabili di tutti gli uomini”. (I Cor. 15:19) È quando la speranza ha afferrato bene le promesse eccezionalmente grandi e preziose della Parola di Dio, che le gioie spuntano come fiori in un deserto, vivificati dalle nostre lacrime; fiori di gioia e di benedizione come il povero mondo nella sua condizione deserta non potrebbe produrre o immaginare. E come le nostre gioie dipendono dalle nostre speranze, esse dipendono anche dalle nostre attività. Non è sufficiente che ci sia stata lasciata una promessa e che la nostra speranza abbia cercato di aggrapparsi alla promessa. Per disposizione divina la gioia che sorge attraverso le speranze e le prospettive istillate deve essere nutrita dalla preghiera e dall’attività nel [679] servizio del Signore. Nostro Signore indica l’intimo rapporto tra la preghiera e il perpetuarsi delle nostre gioie, dicendo:

“Chiedete e riceverete, affinché la vostra
allegrezza sia completa”
−Giovanni 16:24−

“Vi son gioie a sazietà nella tua presenza; vi son diletti alla tua destra in eterno” dichiara il profeta. (Sal. 16:11) È perché la preghiera porta l’anima alla presenza del Signore che essa prepara la via per la benedizione divina e per le massime gioie. Evidentemente l’apertura della via perché il popolo del Signore si avvicini al trono della grazia non è con l’obiettivo, da parte di costoro, di cambiare la volontà e i piani divini. Tale pensiero è incompatibile con tutte le logiche considerazioni su quest’argomento; quindi, il Signore ci istruisce dicendoci di pregare in modo appropriato non nel senso di chiedere che siano fatte le nostre volontà, in contrapposizione alla volontà divina, ma nel senso di una completa sottomissione a quest’ultima. L’Apostolo dichiara, parlando di alcuni: “Voi chiedete e non ricevete, perché domandate male” secondo i vostri desideri e non secondo la disposizione e il piano divini. Giacomo 4:3

Secondo lo stesso criterio nostro Signore ammonisce: “Non usate soverchie dicerie come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per la moltitudine delle loro parole; ma il Padre vostro celeste sa le cose di cui avete bisogno prima che gliele chiediate. Non siate, perciò, solleciti [preoccupati] riguardo a quel che mangerete o a quel che berrete né riguardo a quello di cui vestirete, poiché sono i Gentili che ricercano tutte queste cose; ma cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte, dal Padre vostro nei cieli, secondo la sua sapienza.” (Mat. 6:25-34) Ed ancora nostro Signore dice: “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto.” (Giovanni 15:7) Sono importantissime le seguenti condizioni:

(1) Colui che offre la preghiera deve essere in Cristo, deve essere arrivato ad [680] avere un rapporto vitale con lui mediante l’accettazione del merito del suo sacrificio di redenzione e mediante una consacrazione alla sua volontà e al suo servizio; e, più che questo, egli deve continuare a rimanere  così in Cristo come membro del suo corpo, come membro della Nuova Creazione, per avere i privilegi della preghiera cui qui ci riferiamo.

(2) Egli deve lasciare anche che la Parola del Signore abiti in lui; egli deve cibarsi della Parola di verità e di grazia se ha la sapienza necessaria per chiedere, secondo la volontà del Signore, le cose che a lui piace concedere, altrimenti, anche se una Nuova Creatura in Cristo, le sue preghiere possono rimanere senza risposta, perché chieste “male”. È solo chi professa entrambe queste qualificazioni che può aspettarsi di avvicinarsi al trono della grazia celeste con piena fiducia, con piena garanzia di fede che le proprie richieste verranno esaudite, al tempo opportuno di Dio. Solo costoro possono rendere reale la pienezza della gioia.

Come spiegano le Scritture, la preghiera è il tentativo di ottenere accesso alla presenza di Dio e di raggiungere la comunione con lui. Chi, allora, può avvicinarsi al trono della grazia celeste affinché “otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi ad ogni momento?” (Ebr. 4:16) Rispondiamo con l’Apostolo che il mondo in genere non ha questo accesso, non ha questo privilegio della preghiera. Vero, in verità, milioni di pagani stanno offrendo preghiere alla Divinità con svariate concezioni di chi essa sia e di che cosa sia; ma le loro preghiere non sono accettabili per Dio. “Chi si accosta a Dio deve credere che egli è [deve riconoscerlo come Colui che esiste autonomamente] e che egli è il rimuneratore di quelli che lo cercano diligentemente [che cercano di conoscerlo, di obbedirgli, di servirlo].” (Ebr. 11:6) Cornelio fu uno che apparteneva a quest’ultimo tipo, che riconobbe il vero Dio, lo venerò e cercò di conoscere e di fare la sua volontà; e non appena il piano divino raggiunse la fase necessaria di sviluppo per permettere al favore di Dio di essere concesso ai Gentili, le sue preghiere e le sue elemosine ricevettero una risposta. Tuttavia non gli fu concesso di avere la comunione con Dio nel senso pieno, appropriato; ma ricevette istruzioni di mandare a [681] chiamare Pietro che gli avrebbe detto delle “parole” con cui avrebbe potuto essere portato dalla sua condizione di alienazione e di separazione ad una condizione di armonia e di figliolanza, in cui avrebbe avuto il privilegio di figlio, il privilegio di accedere al Padre presso il trono della grazia celeste.

Le idee generalmente sconclusionate che prevalgono rispetto a questo argomento, per cui si suppone che qualsiasi persona, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento e in qualsiasi condizione, possa accostarsi al trono della grazia ed essere accettata, sono erronee. Come fu necessario, prima che Cornelio potesse servirsi di questo privilegio della preghiera-comunione, che ascoltasse, credesse e accettasse le parole di Pietro, le quali gli spiegarono la redenzione attraverso il sangue di Cristo e la riconciliazione così effettuata e il privilegio così concesso di essere portato dentro la famiglia di Dio, così una conoscenza simile è ugualmente necessaria per tutte le persone.

L’Apostolo Paolo esprime lo stesso concetto quando dichiara che Cristo ha aperto per noi “una via recente e vivente” oppure “una recente via di vita”, attraverso la cortina, vale a dire, la sua carne; e quando dichiara che possiamo avere l’audacia come fratelli di entrare nel santissimo in virtù del sangue di Gesù. Tali “fratelli”, collegati al Sommo Sacerdote sopra la casa di Dio, sono esortati ad “accostarsi di vero cuore, con piena certezza di fede”, riconoscendo che i loro peccati e le loro iniquità sono state completamente coperte e che essi stessi sono stati completamente accettati dal Padre. (Ebr. 10:17-22) Di nuovo, lo stesso Apostolo dichiara che siamo noi che abbiamo un Sommo Sacerdote che sa simpatizzare con le nostre infermità, siamo noi che “dunque ci accostiamo con piena fiducia al trono della grazia, affinché noi otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi al momento opportuno.” (Ebr. 4:15, 16)

Ma mentre soltanto la classe dei consacrati, l’“under-priesthood” {ovvero i sacerdoti subordinati}, la Nuova Creazione, sono incoraggiati in tal senso ad accostarsi al trono con coraggio e con fiducia, molto chiaramente tutti coloro che anche se solo provvisoriamente appartengono alla “famiglia dei credenti” possono in certa misura godere dei privilegi del ringraziamento e della lode e possono godere in Dio, nel rendersi conto del provvedimento che egli ha preso per il completo perdono dei peccati [682] attraverso i meriti della redenzione. Nondimeno, non è loro privilegio entrare con baldanza, o in qualsiasi altro modo, nel Santo dei Santi. Soltanto i consacrati, la Nuova Creazione, i membri del corpo del Sacerdote, hanno il privilegio di penetrare nella presenza di Dio in preghiera in questo senso speciale; ed essi soltanto, perciò, possono avere la pienezza della gioia che il Maestro ha promesso. Quindi, mentre non possiamo neanche suggerire ai non credenti quanto sia appropriato pregare, ma dovremmo, prima, istruirli con le “parole”, come Pietro istruì Cornelio, affinché essi possano conoscere colui nel quale essi debbono credere prima di avere una qualche reputazione davanti a Dio, nondimeno noi possiamo incoraggiare tutti quelli che hanno creduto nel Signore Gesù a dare grazie e ad offrire lodi al Padre attraverso Gesù Cristo. Tuttavia, tale istruzione dovrebbe essere data spontaneamente per capire che la loro giustificazione provvisoria attraverso la fede non è il compimento della volontà divina in loro, ma semplicemente l’inizio del giusto cammino per accostarsi a Dio, il primo passo in quell’accostarsi, e che il secondo passo della piena consacrazione alla volontà divina deve essere fatto da coloro che godono dei privilegi della preghiera, della comunione con Dio e della pienezza della gioia ad esse connesse.

Si dovrebbe indicare loro che non fare il secondo passo vorrebbe dire ricevere la grazia di Dio [giustificazione] invano. (II Cor. 6:1) Dopo aver goduto dei privilegi di questo tipo connessi con la preghiera per un periodo e rifiutandosi di andare avanti a fare una consacrazione completa di se stessi al Signore, costoro dovrebbero giustamente sentire una diffidenza nei confronti della preghiera; dovrebbero sentire che non è appropriato ricevere continuamente i favori divini e chiederne ancora, mentre si rifiutano di dare al Signore la consacrazione dei loro cuori, il loro servizio ragionevole. Dato che nelle Scritture la classe dei consacrati è designata quale la sposa di Cristo, così la famiglia generale dei credenti rappresenta giustamente coloro ai quali vengono spalancati i privilegi del matrimonio. La Nuova Creazione, quale Sposa di Cristo data in matrimonio, [683] avendo ceduto il cuore, la lingua, tutti gli altri poteri ed energie al suo Signore e al suo servizio, può ragionevolmente e con gratitudine accettare da lui le benedizioni, i privilegi, la protezione, la supervisione e i doni che gli è piaciuto promettere ad essa quale sua Sposa data in matrimonio.

Come una donna che ha respinto un pretendente e ha rifiutato di dargli la mano e il cuore non potrà logicamente contare su di lui, più tardi, in cerca di premura, di protezione, di benedizione, di privilegi e di gioie che egli aveva già offerto a lei spontaneamente, così coloro che rifiutano continuamente il favore divino, al punto di rifiutarsi di fare una consacrazione di tutto il loro piccolo al Signore, non potranno legittimamente contare su di lui oppure chiedergli le benedizioni che ha promesso a coloro che lo amano e che manifestano il loro amore mediante la loro devozione, la loro consacrazione. Si dovrebbe riconoscere giustamente questa distinzione tra coloro che credono puramente nel perdono dei peccati per mezzo del Signore e coloro che hanno capito il valore di quel favore e sono giunti alla consacrazione e al rapporto pieno con il Signore. Il fatto che queste linee tracciate divinamente tra le diverse classi di credenti non siano riconosciute più chiaramente è uno svantaggio per entrambe le classi. La distinzione tra i credenti e i non credenti dovrebbe essere definita rigorosamente. Tutti i primi dovrebbero essere riconosciuti come fratelli, “della famiglia dei credenti”, ma non così i secondi. Poi, la distinzione tra quei credenti che hanno fatto la consacrazione di se stessi e quelli che non l’hanno fatta, dovrebbe essere chiaramente definita e i primi dovrebbero essere riconosciuti quali la Chiesa, la Nuova Creazione, il Sacerdozio Regale, a cui appartengono tutte le promesse eccezionalmente grandi e preziose.

Se queste distinzioni fossero chiaramente riconosciute tornerebbe a vantaggio (1) del mondo, portando ad un’investigazione più dettagliata e ad una fede più tangibile; (2) tornerebbe a vantaggio anche dei credenti non consacrati, portandoli a rendersi conto che, senza arrivare ad una piena consacrazione, non possono essere coeredi con i santi in nessun senso della parola, sia nelle glorie future che nei privilegi e nelle gioie presenti. (3) Rendersi conto di ciò, crediamo, avrebbe anche un effetto stimolante sui non consacrati, portandoli più frequentemente ad una decisione positiva dissipando i frutti [684] dell’immaginazione infondati secondo i quali credere puramente in un modo o nell’altro in Cristo, senza la consacrazione, li costituisce figli di Dio ed eredi e dà loro il diritto a partecipare alle promesse divine di maggior valore che hanno molta influenza sulla vita presente e su quella che verrà.

La canna rotta non la spezzeremo e il lucignolo fumigante non lo spegneremo; ma faremo sì che le canne rotte si rendano conto che per partecipare adeguatamente alle benedizioni di Dio, presenti o future, debbono avvalersi del favore divino a condizioni divine; debbono consacrarsi completamente, se cessano di essere canne rotte, e debbono diventare utili nel servizio del Signore. La fede senza fiamma non la spegneremo, ma la attizzeremo per farla diventare una fiamma di amore sacro che produrrà una consacrazione completa di sé, un sacrificio pieno, secondo l’invito divino, e così porterà alla partecipazione nelle gioie presenti e future.

Come abbiamo già notato,* l’Apostolo dichiara che i bambini dei credenti sono considerati insieme ad essi quali partecipanti alla grazia divina della giustificazione, come non più empi, ma giustificati in un senso provvisorio. Questa reputazione di giustificati e il rapporto che essa ha con la cura e la provvidenza divina, continua dalla nascita fino all’età della ragione; e tali bambini hanno evidentemente quasi lo stesso privilegio dei giustificati in materia di preghiera, ricevendo anche in simile proporzione le gioie e le benedizioni che ne derivano. Dalla primissima infanzia si dovrebbe insegnar loro a ritenere l’Onnipotente, il Dio dei loro genitori, quale il loro Dio, e da una tenera età si dovrebbe far capire loro che come il genitore ha una reputazione nei confronti di Dio attraverso Cristo, così indirettamente il figlio ha la sua reputazione e il suo rapporto con Cristo attraverso il suo genitore. Il genitore o i genitori consacrati in ogni casa Cristiana possono pertanto essere considerati come, in un senso, i sacerdoti della famiglia e, mentre il figlio può essere adeguatamente incoraggiato a pregare il Signore, non si dovrebbe trascurare la lezione che la famiglia e tutti i suoi interessi ed affari sono sotto la [685] supervisione divina come famiglia, per conto del genitore o dei genitori consacrati, membri della Nuova Creazione. Al figlio si dovrebbe insegnare a guardare al futuro con ansia allorché l’espandersi della sua mente e del suo giudizio gli permetterà di fare la piena consacrazione di se stesso al Signore e di entrare così nei privilegi e nelle gioie promesse a tali consacrati.

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*Pagina 532
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Mentre alle Nuove Creature in Gesù Cristo viene rivolta l’esortazione nel testo che precede a non cercare, a non essere in ansia, a non pregare per le cose terrene (cosa mangerete, cosa berrete, con che cosa vi vestirete, ma ad affidare tutti questi affari alla sapienza e all’amore del Padre), essi sono istruiti riguardo a quell’unica cosa per cui sarà molto gradito al Padre che essi preghino e riguardo alla quale gli piacerà molto rispondere alle loro preghiere. Quella cosa che essi dovrebbero cercare in modo speciale e per la quale dovrebbero pregare in modo speciale è lo Spirito santo, lo spirito di santità, lo Spirito di Dio, lo Spirito di Cristo, lo Spirito della Verità, lo spirito di una mente sana, lo spirito d’amore. Le parole del Maestro sono: “Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni [terreni] ai vostri figliuoli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito santo a coloro che glielo domandano?” Luca 11:13

Qui, allora, abbiamo informazioni chiare riguardo a ciò che dovrebbe essere la base di tutte le nostre preghiere, se vogliamo che siano esaudite. Così dobbiamo pregare se non vogliamo chiedere male. I nostri affetti debbono risiedere nelle cose di lassù e non nelle cose di quaggiù, nel rivestimento della giustizia di Cristo e nel nostro futuro abbigliamento glorioso, quando saremo come nostro Signore e lo vedremo così com’è, anziché con l’abbigliamento terreno. I nostri affetti debbono essere rivolti al cibo spirituale, al pane che scende dal cielo e a tutte le promesse preziose di Dio di cui Cristo è il centro e la sostanza. Questi dobbiamo cercare, di questi ci dobbiamo appropriare; e riferita a questi, pertanto, sarà la sostanza delle nostre preghiere. In tal modo il nostro osservare, il nostro pregare e cercare quotidiani saranno in piena armonia. Per di più, il ringraziamento dovrà prendere in gran parte il posto delle richieste, dal tempo in cui [686] apprendiamo la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità del provvedimento divino, sia per la Nuova Creazione che per i nostri cari secondo la carne e per tutte le famiglie della terra. Che potremmo chiedere di più o di meglio di quanto Dio ha già promesso?

Di sicuro non potremmo chiedere niente di più di quanto ci è stato promesso riguardo alle glorie future della Nuova Creazione; né potremmo chiedere di più riguardo alle gioie presenti della stessa classe. Ogni provvedimento che la ragione potrebbe immaginare, ogni volere, ogni necessità, sono già stati previsti per noi e sono già stati predisposti e offerti perché noi li prendiamo. A noi manca semplicemente la sapienza per sapere come prendere, come fare ad appropriarci di questi provvedimenti divini. Ringraziando, perciò, noi chiediamo semplicemente sapienza e grazia in modo tale da prenderne parte affinché la nostra gioia possa essere piena. Perciò le nostre preghiere debbono essere per una maggiore pienezza di Spirito santo, di sapienza che viene dall’alto.

Che potremmo chiedere di più per conto del mondo di quello che la provvidenza divina ha già disposto? Niente! I gloriosi “tempi della restaurazione” promessi nella Parola vanno ben più in là della semplice risposta alle grandi aspettative e speranze che gli uomini più saggi abbiano mai potuto nutrire. Noi possiamo, perciò, soltanto ringraziare Dio, riconoscere la sua bontà, cercando di cooperare con essa, e renderci conto del nostro bisogno di sapienza. Di qui l’invito affinché possiamo chiedere quest’aiuto dello Spirito santo o del potere di Dio: “sapienza che viene dall’alto”. “Se alcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare.” (Giacomo 1:5) Con questa sapienza ci può essere data la capacità di comportarci, di parlare e di agire in modo tale da essere utile agli altri; e in questa direzione, perciò, dovrebbero essere rivolte le nostre preghiere, per poter cooperare con Dio secondo i criteri generosi e benevoli che egli ha già tracciato, di cui chiedere un miglioramento sarebbe un’assurdità.

Questo grande privilegio di accesso alla presenza di Dio, questo grande privilegio di entrare mediante la fede nel Santissimo, di accostarsi al trono della grazia, di ottenere misericordia e di trovare aiuto in ogni momento di bisogno, può essere adattato a tutte le svariate condizioni da cui siamo circondati.

[687] È nostro per il nostro uso personale affinché possiamo raccoglierci individualmente con il Signore e comunicare con lui; e in virtù della sua misericordia questa comunione con lui, questo separarci dalle cose che distraggono, può essere goduta quando ci ritiriamo effettivamente dalla compagnia di altri. Laddove ciò fosse impossibile e laddove non ci fosse l’opportunità di inginocchiarsi e di alzare la voce anche solo in un sussurro, è il privilegio della Nuova Creazione di avere accesso al Padre nella comunione mentale. Quando si è per strada, quando si è circondati da confusione e trambusto, il cuore può elevarsi e cercare sia la sapienza che la forza presso il trono della grazia. Come sono benedetti questi privilegi! Chi più li usa, più li gode. A differenza dalle cose terrene, diventano più preziosi man mano che diventano più familiari.

La preghiera nel circolo della famiglia è l’andare della famiglia nella “cameretta segreta”, alla presenza del Signore, lontani dal mondo. Ciò non può essere sempre possibile; ma dove si verifica l’opportunità, non si dovrebbe trascurarla. Tuttavia, se non si può dar vita ad un’occasione propizia, senza dubbio il Signore accoglierà la volontà invece del fatto in sé e accorderà le benedizioni di conseguenza. L’influenza dell’altare familiare e dell’incenso della preghiera che sale da lì al Padre celeste e il riconoscimento fatto lì della sua grazia, della sua misericordia, del suo potere e della sua benedizione, porteranno di sicuro ulteriore benedizione, non solo al Sacerdote Regale che in tal modo serve la sua famiglia, ma a tutti i membri di quella famiglia. Un sentimento di riverenza verso Dio, di responsabilità verso di lui e una presa di coscienza del suo amore, della sua cura protettiva, resta in quella famiglia per tutto il resto della giornata. E se la sera è nuovamente possibile radunarsi come famiglia per dare atto dei doni divini del cielo e per rendere grazie, la benedizione non fa altro che aumentare, come accadde al vasetto d’olio della vedova, quando l’olio continuò ad essere versato in un vaso dopo l’altro. II Re 4:1-7

La preghiera nella Chiesa è l’andare della famiglia del Signore nelle “cameretta segreta” della presenza divina, lontano dal mondo. È estremamente necessaria per il suo progresso, per la sua salute, per il suo sviluppo spirituale. Trascurarla provoca di sicuro una perdita di forza, una perdita di privilegio e di servizio e una perdita corrispondente di [688] gioia. Tuttavia siamo completamente contrari al tipo di preghiera pubblica cui si riferisce un giornale di Boston, quando, nel dare il resoconto di un incontro religioso, ha detto: “Il rev. dottore …ha formulato la preghiera più bella e più eloquente mai rivolta ad un pubblico di Boston!” C’è troppo di questa sorta di preghiera rivolta al pubblico invece della preghiera rivolta a Dio. Le Scritture non solo incoraggiano tra il popolo del Signore le preghiere pubbliche e fatte ad alta voce ma indicano anche che colui che prega dovrebbe ricordarsi di coloro che stanno ascoltando in connessione con il suo ministero e dovrebbe svolgere il servizio in maniera tale che chi ascolta possa dire “Amen”, sia ad alta voce oppure in cuor suo. I Cor. 14:13-17

Fu la sapienza che viene dall’alto, lo Spirito santo, che guidò l’Apostolo Paolo, quando entrava in una nuova città con il Vangelo, a cercare quelli che erano radunati in un posto “dove si era soliti pregare”. (Atti 16:13) E il fatto è che, di nuovo, entrambi la conoscenza e l’amore di Dio abbondano di più tra quelle persone del suo popolo che pregano l’una per l’altra, affinché la loro gioia sia piena. A prescindere da quanti incontri possa avere il popolo del Signore per lo studio della sua Parola e per lo sviluppo reciproco nella fede più santa, noi sosteniamo che non si consideri adeguatamente iniziato nessun servizio senza che sia stata invocata prima la benedizione del Signore sullo studio; e che non si consideri adeguatamente concluso nessun incontro finché non sia ringraziato il Signore per il privilegio e per le benedizioni godute, e per la sua benedizione elargita affinché la Parola della sua grazia possa essere veramente delizia per i cuori di chi ha ascoltato con desiderio sincero di conoscere e di fare la sua volontà.

Fede un frutto dello Spirito e una parte
dell’eredità presente della Nuova Creazione

La fede deve essere nostra prima di diventare figli di Dio, sì, prima della nostra giustificazione, poiché noi siamo “giustificati mediante la fede” prima di ricevere la pace con Dio e il perdono dei peccati. Perciò questa fede che avevamo prima di ricevere lo Spirito santo, non può essere la fede che è il frutto dello Spirito, il dono dello Spirito. La [689] fede è l’operazione, l’esercizio delle nostre menti riguardo a Dio e alle sue promesse. Coloro che non possono esercitare la fiducia in Dio, sia per ignoranza sia per le condizioni degradate della mente, sono in uno stato in cui è impossibile per essi essere benedetti secondo le disposizioni di questa età del Vangelo; ma non in una condizione che li esclude da una partecipazione alle benedizioni dell’età futura: l’età Millenaristica. La chiamata di questa età del Vangelo è rivolta a coloro che possono e che vogliono camminare per fede, non per visione, e chiunque non può o non vuole camminare così non può ora camminare con Dio. “Senza fede è impossibile piacere a Dio.” Chiunque non ha anzitutto tale fede non può iniziare affatto nel tempo presente; e anche se avesse anzitutto la fede, se essa non cresce e non si sviluppa, a costui mancherà la forza di essere un vincitore; perché “Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.” I Giovanni 5:4

Dovremmo riconoscere una vasta differenza tra fede e credulità. Milioni di persone sono creduli e superstiziosi e credono ad innumerevoli cose illogiche di cui non hanno nessuna prova adeguata. E tali persone superstiziose che credono a quello cui non dovrebbero credere, non si trovano solo nelle terre pagane. Milioni di essi portano il nome di Cristiani, con qualche collegamento denominazionale. La superstizione e la credulità sono da condannare, da disapprovare, da evitare, da sopraffare. Si deve incoraggiare, sviluppare, fortificare, far crescere la vera fede. La fede di Dio è la fede, la confidenza, la fiducia che si basa sulle promesse divine e non su tradizioni, su filosofie o su frutti di immaginazione umani.

Se crediamo che Dio è ciò che questo nome vuol dire, Colui che esiste autonomamente, il Creatore onnipotente, onnisciente, tutto giusto, tutto amoroso, e se crediamo che egli è colui che ricompensa coloro che diligentemente lo cercano, l’effetto sarà che lo cercheremo, cercheremo di sapere e di capire la sua Parola; e che, conoscendo e capendo ciò, avremo confidenza in ciò; e che, avendo confidenza in ciò, dirigeremo il corso della nostra vita di conseguenza. Questo inizio di fede, sotto il favore divino, è orientato verso Cristo quale la via recente e vivente di riunione con Dio e di restituzione [690] del suo favore. Man mano che questa fede comprende Gesù e si esercita nell’obbedienza, essa si accresce e la benedizione del Signore discende maggiormente su di essa, illuminandola riguardo ai termini con cui si viene accettati e si diventa membri della Nuova Creazione. La fede che cresce comprende le promesse di Dio, di diventare eredi di Dio e coeredi con Gesù Cristo il Signore e Redentore. La conseguenza è la benedizione dello Spirito, la generazione, l’unzione, l’adozione quale figli.

La conseguenza ulteriore è la maggiore illuminazione con la luce del candeliere d’oro nel Santo, che permette all’occhio della fede di vedere cose non viste dall’esterno, di riconoscere il ministero speciale del Sommo Sacerdote rispetto alla luce, rispetto al pane della proposizione, rispetto all’incenso dell’altare d’oro e presso il trono di Dio al di là della cortina. Man mano che la fede viva, obbediente assorbe pian piano queste varie caratteristiche del favore e della benedizione divini, come rivelati nella Parola divina, essa diventa sempre più forte, più chiara, e diventa una parte fondamentale della nuova mente. Vede da questa posizione di vantaggio cose che non riusciva a vedere prima e rispetto alle quali l’Apostolo dichiara: “Le cose che occhio non ha vedute, e che orecchio non ha udite e che non sono salite in cuor d’uomo [l’uomo naturale], sono quelle che Dio ha preparate per coloro che l’amano.” I Cor. 2:9

Attraverso la Parola della promessa, illustrata dallo Spirito, essa vede cose eccezionalmente grandi e preziose, cose celesti, le glorie che si raggiungeranno alla Prima Risurrezione, il Regno, che sarà stabilito allora, il regno di giustizia che porterà la benedizione a tutte le famiglie della terra, l’assoggettamento del peccato e la distruzione di ogni individuo e di ogni cosa che non coopererà alla gloria di Dio e secondo la legge divina dell’amore. La Nuova Creatura vede tutto ciò con l’occhio della fede, l’occhio dell’intelletto; e l’Apostolo ci assicura che quest’occhio guarda molte di queste cose che non sono distinte e chiare all’occhio dell’uomo naturale, poiché “a noi Dio le ha rivelate [691] per mezzo del suo Spirito, che investiga ogni cosa, anche le cose profonde di Dio.” I Cor. 2:9, 10

Questa fede generata dallo Spirito in cose non ancora viste è parte dell’eredità presente della Nuova Creazione ed è intimamente associata ad ogni sua speranza e ad ogni sua gioia, e dà l’unica anticipazione possibile delle “glorie che verranno”. In realtà, come spiega l’Apostolo, è la casa su cui sono edificate tutte le nostre gioie e speranze. “La fede è la sostanza di cose in cui speriamo; l’evidenza di cose non viste.” Attraverso di essa le cose che ancora non si vedono diventano, per le nostre menti, tangibili come le cose che si vedono; veramente, dice l’Apostolo, da questo punto di vista impariamo a reputare che le cose che vediamo con i nostri occhi naturali sono temporali, mentre le cose che non vediamo con i nostri occhi naturali, ma guardiamo con gli occhi della fede, sono quelle reali, tangibili, eterne.

Quanto sia necessaria la fede per raggiungere e mantenere la nostra eredità presente, l’anticipazione delle benedizioni future, è chiaramente rivelato dall’Apostolo Giacomo che, dopo aver detto: “Se alcuno manca di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberamente senza rinfacciare e gli sarà donata”, aggiunge: “ Ma che chieda con fede, senza star punto in dubbio. Perché chi dubita è simile a un’onda di mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Non pensi già quel tale di ricever nulla dal Signore. Un uomo d’animo doppio è instabile in tutte le sue vie.” (Giacomo 1:5-8) L’Apostolo in tal modo mostra come sia impossibile per chiunque diventare un vincitore se non si diventa forti nella fede. Quindi, le Scritture inculcano dappertutto la crescita nella fede e bisogna che tutto il popolo del Signore preghi come fecero gli Apostoli: “Signore, accresci la nostra fede”; e pregando in tal modo essi usano i mezzi che Dio ha designato per il compimento di questa preghiera. Se la loro preghiera è sincera, essi useranno seriamente quei mezzi: cercheranno il Signore in preghiera, cercheranno di conoscere la sua Parola, cercheranno di obbedirle, cercheranno e godranno del suo servizio, cercheranno di rivestirsi di tutte le grazie dello Spirito; e con questo atteggiamento, avranno una fede forte, piena assicurazione della fede e “non inciamperanno giammai, ma sarà loro largamente [692] provveduta l’entrata nel Regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo”, a suo tempo. II Piet. 1:10, 11

Il canto alla vita della Nuova Creazione

La mia vita scorre come una canzone infinita;
Al di sopra del lamento della terra,
Colgo il dolce inno, non lontano,
Che saluta una Nuova Creazione.
Tra tutto il tumulto e la lotta,
Sento suonare la musica;
Un’eco essa trova in cuor mio.
Come posso trattenermi dal cantare?

Che importa se le mie gioie e il mio conforto muoiono!
Il Signore mio Salvatore vive;
Che importa se la tenebra mi circonda!
Dei canti egli mi offre nella notte.
Nessuna tempesta può scuotere la mia calma più profonda,
Mentre mi avvinghio a quel rifugio;
Poiché Cristo è Signore del cielo e della terra,
Come posso trattenermi dal cantare?

Alzo gli occhi; la nuvola si assottiglia;
Sopra di essa vedo l’azzurro;
E di giorno in giorno questo sentiero si spiana,
Da quando per la prima volta ho cominciato ad amarlo.
La pace di Cristo dà refrigerio al mio cuore,
Una fonte sempre zampillante;
Tutte le cose sono mie poiché io sono suo.
Come posso trattenermi dal cantare?

 

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